Il delitto di ‘Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti’ rinviene attualmente la sua disciplina nell’art. 452 quaterdecies c.p., disposizione per mezzo della quale, in ossequio al principio della riserva di codice, è stata trasposta nell’impianto codicistico la fattispecie già prevista e punita dall’art. 260 D. Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale).
La norma in rassegna punisce con la reclusione da uno a sei anni “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”.
Attraverso tale incriminazione, in ultima analisi, si è inteso sanzionare le forme più gravi di gestione abusiva dei rifiuti, vale a dire quelle connotate da una struttura di tipo imprenditoriale, caratterizzata dall’allestimento di mezzi e attività continuative e organizzate idonea a gestire ingenti quantitativi di rifiuti.
Segnatamente, la figura delittuosa in esame sottopone a pena quelle condotte tipiche in essa menzionate (ovverosia la cessione, la ricezione, il trasporto, l’esportazione, l’importazione o la gestione di ingenti quantitativi di rifiuti), a condizione tuttavia che si tratti di attività illecita continuativa, e non già occasionale, trattandosi di reato avente natura abituale (in tal senso, v. Cassazione penale sez. III, 23/05/2019, n.43710).
In altri termini, si richiede il compimento di una pluralità di operazioni (della stessa tipologia, ovvero di diversa tipologia), che siano, anche avuto riguardo al dato numerico, tali da rendere configurabile l’imprescindibile requisito quantitativo correlato all’ingente quantità di rifiuti, che costituisce l’oggetto della condotta.
Al contempo, è necessario che la pluralità di operazioni sia supportata da una organizzazione professionale (che richiede, quindi, la predisposizione di mezzi e capitali), che sia per l’appunto adeguata rispetto alla gestione di ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (in tal senso, cfr. nuovamente Cassazione penale sez. III, 23/05/2019, n.43710, nonché Cass. III, n. 52838/2016 ).
Siffatte operazioni devono, altresì, essere abusive, vale a dire poste in essere in violazione della disciplina che regola la materia, fissata dal citato decreto legislativo: come noto, rileva in questa prospettiva sia il compimento di operazioni in difetto delle prescritte autorizzazioni, sia una gestione totalmente difforme dal pur sussistente titolo autorizzativo (cfr. Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 791 dell’11/1/2018).
Come accennato, poi, la condotta incriminata deve avere ad oggetto un ingente quantitativo di rifiuti, quale risultato complessivo del compimento della pluralità di operazioni come sopra tratteggiate.
Sul punto, peraltro, è interessante annotare che la Suprema Corte si è pronunciata osservando che “la nozione di ingenti quantitativi non può essere individuata a priori attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici quali ad esempio quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto anche in questo caso delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato, della pericolosità per la salute e per l’ambiente, e nell’ambito del quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento” (Cass. Sez. 3 6.11.2012 n. 47229 – conforme Sez 3 9.11.2016 n. 46950).
Infine, sul versante psicologico, la disposizione in rassegna richiede il dolo specifico, dovendo il soggetto attivo agire al fine di conseguire un ingiusto profitto, nel senso che “l’intera gestione continuativa e organizzata dei rifiuti” deve costituire “strumento per (ed è pensata al fine di) conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti”. (Cass. 35568/2017).
Va da sé che deve sussistere in capo all’agente la piena consapevolezza “di utilizzare una organizzazione illecita per conseguire un ingiusto profitto” (così Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 52838 del 14.7.2016).
Riassumendo, dunque, dalle considerazioni che precedono ne deriva che tra gli elementi costitutivi del delitto in parola vanno annoverati la pluralità di operazioni abusive di gestione dei rifiuti ed il correlato carattere continuativo delle stesse, nonché la presenza di una struttura professionale organizzata (di mezzi e capitali), in uno con l’ingente quantitativo di rifiuti in tal modo gestiti.
Il difetto di uno di tali requisiti osta al riconoscimento della fattispecie incriminatrice di cui trattasi, potendo al più ricorrere, se del caso, l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 256 D. Lgs. 152/2006(‘Attività di gestione di rifiuti non autorizzata’).
Va detto, infatti, che tale ultima fattispecie può sussistere “anche in presenza di una condotta occasionale, in ciò differenziandosi dall'art. 260 d.lg.. 3 aprile 2006, n. 152, che sanziona la continuità della attività illecita” (Cassazione penale sez. III, 25/05/2011, n.24428), sebbene – giova precisarlo - la giurisprudenza tenda ad escludere la penale rilevanza di quelle condotte di gestione caratterizzate dalla assoluta occasionalità (cfr. sul punto Cass. Pen., Sez. III, ud. 29 marzo 2019, n. 23818).