Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 27421 del 15 luglio 2021, sono intervenute a dirimere il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in merito all’esatta individuazione del limite temporale delle acquisizioni patrimoniali rilevanti ai fini dell’applicazione della confisca in casi particolari di cui all’art. 240-bis del Codice penale.
Tale disposizione disciplina la confisca c.d. “allargata” o “atipica”, così definita per differenziarla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria, dalle quali si distingue in quanto non ha ad oggetto il prezzo o il profitto del reato per il quale è intervenuta condanna, ma quei beni nella disponibilità del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività svolta.
Da notare che tale ipotesi di confisca è disposta dal giudice – se del caso, anche dal giudice dell’esecuzione, dopo l’irrevocabilità della sentenza, a mente dell’art. 183 quater disp. att. c.p.p. – solo in caso di condanna o sentenza di patteggiamento in relazione a determinate e gravi ipotesi di reato di reato (c.d. reati-spia), ed è stata da ultimo estesa, al ricorrere di specifici requisiti, anche ai reati tributari, secondo quanto disposto dall’art. 12 ter del D. Lgs. 74/2000.
In questo quadro normativo, ci si è chiesti se la confisca in esame, disposta in sede esecutiva, possa riguardare beni riferibili al soggetto condannato e acquisiti alla sua disponibilità fino al momento della pronuncia della condanna per il reato-spia, oppure anche successivamente, salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.
Al riguardo, infatti, un primo orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità ammetteva la confiscabilità soltanto dei beni esistenti al momento della pronuncia della sentenza di condanna per il reato presupposto (reato-spia), ferma restando comunque la possibilità di disporre la confisca anche per quei beni acquistati successivamente alla sentenza, ma con risorse di cui il reo aveva già la disponibilità in epoca antecedente.
Di contro, un opposto orientamento, che pure aveva ricevuto autorevole avallo in una ormai datata pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 920 del 17/12/2003, Montella), sosteneva l’applicabilità della confisca allargata in sede esecutiva anche ai beni pervenuti nel patrimonio del condannato non solo sino alla pronuncia della sentenza di condanna per il reato presupposto, ma fino al successivo momento del suo passaggio in giudicato.
Ciò sulla base della considerazione per cui la misura ablativa costituirebbe uno strumento di privazione della ricchezza accumulata dal soggetto in quanto condannato per determinate gravi fattispecie di reato, e non in quanto derivata dalla commissione dell'illecito penale.
Conseguentemente, secondo tale impostazione non assumerebbero rilievo né il nesso pertinenziale tra reato e bene, né il momento dell'acquisto dei beni da confiscare, né, del resto, sarebbe richiesta una valutazione di proporzionalità tra valore del bene e profitto che ne è derivato.
Con il presente arresto, le Sezioni Unite hanno accolto il primo orientamento, affermando quindi il seguente principio di diritto: “Il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di confisca ex articolo 240-bis cod. pen., esercitando gli stessi poteri che, in ordine alla detta misura di sicurezza atipica, sono propri del giudice della cognizione, può disporla, fermo restando il criterio di “ragionevolezza temporale”, in ordine ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il c.d. “reato-spia”, salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima”.
A tale conclusione la Suprema Corte perviene dopo aver rammentato, tra il resto, come la confisca allargata sia da annoverare, per scelta legislativa, tra le misure di sicurezza e che in quanto tale va necessariamente correlata alla sussistenza del reato-spia.
È perciò proprio il giudizio di colpevolezza (o la sentenza di applicazione della pena su richiesta resa ex art. 444 c.p.p.) in ordine alla commissione del suddetto reato, unitamente alla titolarità di beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi ed attività del reo e quindi non giustificabile, a determinare l'applicabilità della misura.
Ne deriva così che il potere riconosciuto al giudice dell’esecuzione nel disporre la confisca deve ritenersi contenuto entro i limiti propri di quello spettante al giudice della cognizione, come sopra individuato.
Quanto, infine, all’enunciato criterio di ‘ragionevolezza temporale’ cui il giudice deve attenersi, la Cassazione ha osservato che occorre fare riferimento alle caratteristiche della singola vicenda concreta ed al correlato al grado di pericolosità sociale che se ne può ritrarre.
Sulla scorta di tali argomentazioni, dunque, le Sezioni Unite giungono a disattendere l’orientamento accolto nella citata sentenza Montella, rilevando come detta impostazione, che si mostra indifferente rispetto al momento di ingresso del bene da confiscare nel patrimonio del reo, conduca ad un eccessivo ed ingiustificato ampliamento del perimetro applicativo della confisca.
Si ammette, per contro, la possibilità di disporre la confisca anche di quegli elementi patrimoniali acquisiti dopo la perpetrazione del reato, purché non distaccati da questo da un lungo lasso temporale, tale da rendere irragionevole l'ablazione, e comunque non successivi alla sentenza di condanna o di patteggiamento, salvo sempre il caso di successivo acquisto con risorse precedentemente possedute.