Male captum, bene retentum: nessuno spazio per la categoria dell’inutilizzabilità derivata



La Corte di Cassazione, sezione II penale, con la recente sentenza n. 25639 del 16 maggio 2024, depositata in data 1° luglio 2024), in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, ha ribadito che la sanzione processuale dell'inutilizzabilità di una prova è da intendersi perimetrata alle prove illegittimamente acquisite, mentre non riverbera in alcun modo sulle altre risultanze probatorie, sebbene in ipotesi collegate a quelle dichiarate inutilizzabili, ciò in applicazione del principio vitiatur, sed non vitiat.
Viene in tal modo ribadito che la categoria dell’inutilizzabilità derivata non trova alcuna ospitalità nel nostro ordinamento, non valendo per quest’ultima la regola espressamente sancita dall'art. 185, comma 1, c.p.p., con riferimento alla diversa categoria della nullità, secondo cui “la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo”.
L’inutilizzabilità, pertanto, non si comunica, a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti, quali, su tutti, quello statunitense: secondo la teoria del c.d. fruit of the poisonous tree (frutto dell'albero avvelenato), ivi accolta, se la fonte (l'albero) della prova o la prova stessa è viziata (poisonous) allora ogni decisione presa (il frutto) in base ad essa è a sua volta viziata.
Alla differente conclusione accolta dai Giudici nazionali si perviene secondo un approccio giudicato rispettoso dei principi costituzionali, ed in particolare dell’art. 24 Cost., da una risalente giurisprudenza della Consulta, che ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell' art. 191 c.p.p. nella parte in cui “consente l'utilizzazione di prove che derivino, non solo in via diretta, ma anche in via mediata da un atto posto in essere in violazione di divieti, ed in particolare l'utilizzazione del risultato di una perquisizione nulla” (Corte Costituzionale, sentenza n. 332 del 27 settembre 2001), sottolineando come nullità ed inutilizzabilità siano fenomeni tutt'altro che sovrapponibili, con conseguente impossibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità il concetto di vizio derivato che il sistema disciplina esclusivamente in relazione alla materia della nullità.
In linea con tale approdo interpretativo, la Consulta la Consulta, con decisione n. 219 del 2019, ha più recentemente dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta sempre con riferimento all’art. 191 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività.